Monumenti
Nel capoluogo si trovano numerosi monumenti ed edifici di valore. Oltre a Villa Pecori Giraldi, di cui si parla in un’apposita sezione, sono da visitare:
La Pieve è ricordata nel 934, ma l’attuale chiesa è il risultato di una ricostruzione del XII–XIII secolo, con pianta a tre navate divise da colonne e pilastri quadrangolari e una sola, grande abside semicircolare. Alla monumentalità spaziale corrisponde una sobria decorazione dei capitelli interni, con volute angolari e foglie stilizzate. Originale è anche il campanile in cotto a pianta esagonale irregolare, impostato sull’abside e aperto da cinque piani sovrapposti di monofore e bifore. All’altare maggiore Crocifisso ligneo del XVI secolo. Le pitture dell’abside sono di Galileo Chini (1906). Agli altari laterali e sui pilastri si trovano alcune opere, in parte nella loro collocazione originale, in parte confluite in seguito da altri edifici, che costituiscono un insieme di altissimo livello di testimonianze artistiche. Sulla controfacciata sono stati recentemente collocati la Madonna col Bambino e i santi Giovanni battista e Tommaso attribuita al giovane Piero di Cosimo (dal Santuario del Santissimo Crocifisso dei Miracoli) e la Pentecoste di Jacopo Vignali. Nella navata
destra la Pietà di Cesare Velli (1591), il San Giovanni Battista di Galileo Chini (1950) sormontato da una lunetta di Salvatore Cipolla (2000), e la Madonna con santi attribuita a Jacopo Vignali. Nella navata sinistra una Madonna tra i santi Antonio abate e da Padova di scuola fiorentina del XVII secolo, la Vergine e i ss. Domenico e Francesco che intercedono presso Cristo di Matteo Rosselli, i Santi Benedetto, Sebastiano e Domenico del Bacchiacca (con Angeli nella lunetta) e la Madonna in gloria e santi di Jacopo Vignali. Nel presbiterio la Madonna col Bambino su tavola attribuita a Giotto (unica opera del grande artista nativo di Vicchio presente in Mugello), una Madonna in trono di Agnolo Gaddi, la Madonna col Bambino di Niccolò di Pietro Gerini e una Croce dipinta della fine del XIV secolo, di scuola fiorentina prossima a Lorenzo Monaco.
Di fronte alla Pieve l’Oratorio di Sant’Omobono per la cui fondaizone bisogna risalire alla presenza delle compagnie “laudesi” attestate a Borgo San Laurenzo fin dal XIV secolo. Secondo il Chini la Compagnia della Vergine Maria fiorì nel secolo XIII ed aveva attiguo un ospedaletto detto di “San Cristofano”. Forse le due istituzioni ed i due complessi erano divisi ed indipendenti l’uno dall’altro, vicini solo per ubicazione. La compagnia della Vergine Maria, detta degli “Azzurri” (chiamati così per il colore della veste), venerava un’antichissima immagine della Madonna: “che la tradizione popolare dice ritrovata in una prossima cisterna”. La primitiva sede di detta compagnia era formata da due ambienti: l’oratorio e lo spogliatoio, con un porticato ed un orto che si aprivano su Castelvecchio. Nella seconda metà del XVIII secolo venne ampliato l’oratorio con la realizzazione di un presbiterio, delimitato da colonne e lesene, sovrastato da una cupola ellittica. All’interno di questo spazio è stato collocato un tabernacolo in pietra, nel quale fu posta l’immagine antica della Madonna. In questo periodo un aspetto luminoso e razionale caratterizzava l’oratorio, spiccavano le tonalità bianche e dorate delle colonne, della cupoletta, delle pareti e del soffitto cannicciato, in totale contrasto con l’aspetto scuro ed opprimente di matrice ottocentesca a noi pervenuto. Nei pressi della compagnia degli Azzurri, fin dal XVI secolo si adunavano i “sarti”, e con questi, altri artigiani, sotto la protezione di Sant’Omobono. Nel XVIII secolo questa Compagnia volle costruire un suo oratorio, ma poiché era troppo prossimo agli Azzurri ed alla Pieve, non ottenne il permesso di celebrarvi la Messa. Riottenuto il locale dalle suore Domenicane, alle quali era stato assegnato dopo la soppressione, la Compagnia nel 1801 costruì la Sacrestia, e nel 1813 innalzò il nuovo campanile (così come lo vediamo ora), e venne dipinta dal Colli la cupoletta del presbiterio. Nel 1850 l’Oratorio venne nuovamente restaurato, nei dipinti della cupola e nei fregi delle pareti, da Pietro Alessio Chini e da Angiolino Romagnoli. Nel 1889 sono stati collocati, a seguito di donazione, i due altari laterali lapidei provenienti dalla chiesa di San Francesco. Dopo il terremoto del 1919, nel 1925, un incendio ha devastato il complesso rovinando anche le pitture. Dopo l’incendio si costituì un comitato pro restauro presieduto da Cipriani Don Canuto: si mobilitò anche il consiglio Comunale che concesse per l’occasione un sussidio di L. 200. Le finestre policrome, compresa quella con la luminosa immagine della Madonna con Agnello ed oliva, opera di Chini, furono donate dalle fornaci di San Lorenzo della ditta Chini. Sovrasta la cantoria la finestra con vetri policromi legati a piombo raffigurante la Madonna con stella della pace, assisa in trono con agnello in grembo e ramoscello di olivo nella mano destra e nella riquadratura della cornice la graticola: emblema di San Lorenzo. Sulla cupola è stata dipinta dal Colli (1813) e restaurata dal Chini la Madonna Assunta in
cielo.
Il santuario del Santissimo Crocifisso dei Miracoli risale al Settecento, infatti fu costruito dal 1714 al 1743 dall’architetto fiorentino Girolamo Ticciati. Fu ricostruito nel 1919 in seguito ad un terremoto. La sua facciata esterna e la loggia furono disegnate dall’architetto Roggeri. L’interno si presenta con una struttura a croce greca; vi sono quattro pilastri di ordine composito che reggono la cupola e quattro archi a tutto sesto, dipinti da Fortini e Terreni nel 1783.
L’ex chiesa e convento di San Francesco, risalente all’inizio del XIII secolo, fu ristrutturata, assieme al convento francescano cui era annessa, nel corso del XVI e del XVII secolo . Danneggiata nel terremoto del 1919, è stata oggetto di un recente restauro. L’edificio presenta l’originale struttura duecentesca, con semplice facciata a capanna e l’interno ad unica ampia navata e copertura a capriate . Vi si conservano tracce di affreschi del XIV secolo e della fine del XVI secolo.
Il Palazzo Podestà risale al ‘300 tuttavia l’aspetto attuale è frutto anche di un consistente restauro del 1934 che ne ha modificato l’aspetto con una riprogettazione in chiave neotrecentesca. La struttura fu costruita per ospitare il governo della città, gli
stemmi posti sulla facciata appartenevano alle più importanti famiglie fiorentine e testimoniano il passaggio nel 1290 della città sotto il controllo di Firenze. Oltre agli stemmi è possibile ammirare internamente anche l’affresco Madonna col Bambino fra San Giovanni Battista e San Lorenzo datato 1547. Oggi il palazzo è sede della biblioteca comunale.
Il Palazzo Municipale di Borgo San Lorenzo voluto dall’allora sindaco Cav.Giovanni Bandini, è veramente una sinfonia “chiniana” (decorazioni, ornati, affreschi, vetrage etc,etc), e
la mano di Tito, si evidenzia nella sua bellezza coloristica e nella sua linearità ornativa e decorativa. Se primeggia l’affresco di San Lorenzo nella sala antistante l’ufficio del sindaco, quest’ultimo è impreziosito dagli stemmi delle più notabili famiglie e personaggi mugellani.
Nel 1957, il comune di Borgo San Lorenzo incaricò lo scultore sestese Salvatore Cipolla di realizzare un monumento in onore di Fido, a testimonianza di quell’esemplare storia di amore e fedeltà. L’opera, nota come “Monumento al cane Fido“, fu collocata in Piazza Dante a Borgo San Lorenzo, accanto al Palazzo comunale, ed era costituita da un basamento in pietra, sovrastato da una statua in maiolica raffigurante il cane. Sul basamento, campeggiava la dedica: “A FIDO, ESEMPIO DI FEDELTÀ”. Il monumento venne inaugurato alla presenza dello stesso Fido e della vedova di Carlo Soriani. Pochi mesi dopo l’inaugurazione, tuttavia, la statua in maiolica venne distrutta nottetempo. Il Comune decise, allora, di sostituirla con una in bronzo. Quest’ultima, collocata come la precedente sopra il basamento con la dedica, si trova tutt’oggi in Piazza Dante a Borgo San Lorenzo. Fido (1941 – 9 giugno 1958) è stato un incrocio di un Pointer Inglese vissuto a Luco del Mugello, divenuto famoso poiché, dopo la morte del padrone nel 1943, continuò a recarsi per circa quattordici anni, fino alla fine della propria vita, alla fermata dell’autobus, attendendo invano il suo ritorno. Una sera di inverno del 1941, un uomo residente a Luco del Mugello, Carlo Soriani, operaio alle Fornaci Brunori di Borgo San Lorenzo, trovò in un fosso un cucciolo di cane ferito. Ignorando a chi potesse appartenere, Soriani lo portò a casa e decise di adottarlo, attribuendogli il nome di Fido. Una volta ristabilitosi, il cane si affezionò talmente al suo padrone che ogni mattina lo accompagnava da casa alla piazza centrale di Luco, dove Soriani avrebbe preso la corriera per Borgo San Lorenzo. Fido tornava quindi a casa, ma alla sera era di nuovo alla fermata della corriera, attendendo l’arrivo del padrone, che poi riaccompagnava a casa. Il 30 dicembre 1943, in piena guerra, Borgo San Lorenzo fu oggetto di un violento bombardamento alleato: anche le Fornaci Brunori furono colpite e molti operai, tra cui Carlo Soriani, perirono. La sera stessa, Fido si presentò come al solito alla fermata della corriera, ma ovviamente non vide scendere il proprio amato padrone. Il fedelissimo animale non si perse d’animo e per i quattordici anni successivi (oltre 5000 volte), fino al giorno della sua morte, si recò quotidianamente alla fermata, nella speranza, purtroppo vana, di veder scendere Soriani. Colpito dalla straordinaria fedeltà di Fido, il sindaco di Borgo San Lorenzo dispose che venisse esentato dalla tassa sul possesso dei cani. Poi gli confermò ufficialmente il diritto di circolare senza museruola (l’animale, essendo inoffensivo, era già da anni “tollerato” dalle autorità locali). Infine gli conferì, il 9 novembre 1957, una medaglia d’oro, alla presenza di molti concittadini e della commossa vedova di Soriani. Nel medesimo anno, il Comune di Borgo San Lorenzo decise di omaggiare Fido con un monumento, collocato nella centrale Piazza Dante, ove si trova tutt’oggi. Nello stesso periodo, Fido destò l’interesse mediatico italiano e apparve in diversi cinegiornali dell’Istituto Luce. Fido morì il 9 giugno 1958. e fu sepolto all’esterno del cimitero comunale di Luco, ove riposavano le spoglie di Carlo Soriani.
Sempre in Piazza Dante si trova anche il Monumento ai Caduti, che si trova nel centro dell’area verde, realizzato dallo scultore Giorgio Rossi nel 1927. E’ costituito da un gruppo scultorio bronzeo su basamento in marmo. Sul retro si trova la lapide con i nomi dei caduti durante la prima guerra mondiale. Il monumento, la cui parte bronzea è opera della fonderia Biagiotti di Firenze (come per gli altri monumenti della zona del Mugello), è formato da una base cubica, a cui si accede tramite una gradinata posta al lato nord, e da un complesso scultoreo bronzeo alto tre metri, composto da due figure, una eretta (un legionario) che tiene le braccia aperte a protezione, e una figura semi sdraiata poggiante su un’ara (il soldato morente). S
ul basamento è scolpito un elmo, circondato da corone di foglie d’alloro, e, in basso rilievo, un fascio littorio disposto orizzontalmente. Dietro alle figure si ergono due colonne corinzie che sorreggono una lapide con la data MCMXXVII, sorretta da due sfingi alate. I nomi dei Caduti sono incisi su una lastra di bronzo posta sul resto del monumento. Alcune ricerche riportano che la statua era composta originariamente anche da una colonna a forma di fascio littorio
su cui poggiava la figura eretta (tolta alla caduta del regima fascista) e che presumibilmente nell’anno 1946 (o 1947) furono aggiunti un’ incudine e un martello (quest’ultimo oggi mancante).
Delle mura trecentesche restano poche tracce che si possono osservare in via S. Martino ed una porta: Porta Fiorentina in fondo a Malacova (via Mazzini).
La Torre dell’Orologio, in piazza Cavour, dove si trova anche una loggetta trecentesca, costituita da eleganti colonne ottagonali sulle quali poggia una volta a crociera, riaperta nel 1997 dopo un sommario restauro.
Nelle frazioni, o sparse nelle campagne, si trovano numerose costruzioni di rilievo, in particolare antichi Pievi, da secoli centro religioso, culturale e sociale per gli abitanti della zona.
La chiesa di San Carlo ai Cappuccini si trova al confine del comune di Borgo San Lorenzo con Scarperia. La data di fondazione ufficiale è il 2 giugno 1613, allorché con un a processione dipartitasi da Borgo i frati, con concorso di
popolo e del clero locale, si recarono processionalmente sul colle prescelto per piantarvi la croce di fondazione. Fu terminata all’incirca verso il 1620, a spese del marchese Michelangelo Baglioni che provvide in toto alle spese di costruzione, lasciando a sua perpetua memoria lo stemma di famiglia sulla chiave di volta dell’arco del presbiterio e al di sotto di questo il sepolcro destinato ad accoglierlo (ove però trovò sepoltura solo la moglie). La chiesa è edificata nel più puro stile cappuccino: ad una sola navata con tetto a capriate, senza affreschi o decorazione preziose, eccettuato l’altare maggiore, ligneo, dove troneggia un grande crocifisso ligneo con sullo sfondo, dipinti a tempera su tela, la Vergine addolorata, santa Maria Maddalena, San Carlo Borromeo e San Francesco. Sul lato sinistro si aprono due piccole cappelle, dedicate all’Immacolata e a San Francesco degli inizi del XX secolo. Davanti alla facciata, sulla destra, vi è una ceramica del Chini raffigurante una Pietà. La chiesa è officiata dai frati cappuccini che risiedono nel convento adiacente.
La chiesa di San Giovanni Maggiore fu riedificata nel 1520-1530 dall’arcivescovo Francesco Minerbetti, restaurata nel 1930. Di essa non si può precisare l’origine, anche se molto probabilmente essa risale al V secolo-VI secolo. Di ciò si ha conferma nei documenti del secolo XI che citano un castellare novum o castellarium novum, che indica l’esistenza di un castello più antico, costruito sui resti del primo. Nel Monastero di San Pietro in Luco si fa menzione di una compravendita di beni di questa chiesa, risalenti al 1016. L’interno si presenta con tre navate, un ambone romanico con decori in marmo verde del XII secolo, un crocifisso di legno della prima metà del Cinquecento, copie in gesso di due busti rappresentanti la madre e il padre di Francesco Minerbetti, (gli originali in terracotta del XVI secolo sono conservati nel Museo Beato Angelico di Vicchio, un altro busto che raffigura il pievano Fratini.
Il monastero di San Bartolomeo (badia del Buonsollazzo), passato nel 1320 dai benedettini ai cistercensi, venne affidato nel 1706 ai frati trappisti per volere del granduca Cosimo III, e fu completamente ristrutturato. Si trova purtroppo attualmente in stato di pressochè abbandono.
Ex convento di San Pietro a Luco: nel 1500 fu costruito il campanile che fu danneggiato nel 1542 e poi restaurato nel 1612; le campane risalgono al periodo di fondazione della chiesa. Nel 1630 fu costruito l’altare maggiore in pietra e nel 1661 vi furono poste le spoglie di santa Clarice vergine e martire, provenienti dalle catacombe di santa Priscilla a Roma. La chiesa fu restaurata nel 1883 e ristrutturata a più riprese fino al 1932. Nel 1928 l’architetto Ezio Cerpi fece stonacare la facciata, ripristinare le mura della costruzione del 1086, che mostrarono un filaretto fino a nove metri di altezza, al di sopra del quale c’era il muro normale, che indicava l’esistenza di un rialzamento e della costruzione del portale in stile del Rinascimento. Alla chiesa fu dato allora uno stile rinascimentale (e non romanico) per aderire a quello del portale. Nella canonica si trovano i dipinti Crocifissione di Donato Mascagni, risalente al XVI secolo e il Redentore di Lorenzo Lippi (secolo XVII); si trovano anche un tabernacolo ligneo del Quattrocento e un calice d’argento di Cosimo Merlini il Vecchio (1637). Si trova purtroppo adesso in stato di abbandono.
La chiesa di Santa Maria a Pulicciano all’interno presenta cinque altari del Seicento, un pulpito di noce intagliato, opera di Giuseppe Romagnoli, un affresco sull’altare maggiore dell’Oratorio della Compagnia, rappresentante la Santissima Annunziata, una Lamentazione sul Cristo morto, composta da statue in terracotta, chiamate Le verginelle, del XVI secolo, l’Assunzione della Vergine, opera della seconda metà del XVI secolo, di cui non si conosce l’autore.
Nel luogo dove si trova la pieve di San Cresci in Valcava, molto probabilmente c’era un tempio pagano, perché gli scavi ne fecero trovare le fondamenta, insieme a monete romane (fra le quali alcune dell’Imperatore Decio), pietre scolpite con serpi, ossa di animali sacrificati e altri oggetti. Si ritiene che in questo luogo sia avvenuto il martirio di San Cresci del quale la chiesa conservava il cranio, custodito in un busto-reliquiario in argento (XVIII secolo), voluto da Cosimo III su disegno di Foggini (adesso nella chiesa di Sagginale). Anche la Madonna col Bambino e Angeli del Maestro della Madonna Strauss, della chiesa di San Cresci, si trova oggi a Sagginale. Nella pieve di San Cresci in Valcava si trovano le ossa e le ceneri dei martiri Enzo, Omnione e Panfila, riconosciute nel 1613 e situate in urne di marmo negli altari laterali e sotto la gradinata dell’altar maggiore. Questa chiesa fu consacrata nel 1703. Nel 1700-1702 essa subì dei restauri e nel 1704 fu costruito il portico. Anticamente era costruita con bozze di pietra, aveva tre navate, tre piccole finestre sulla navata laterale ed altre tre nell’abside. I restauri furono commissionati da Cosimo III: la chiesa, con la bolla di Innocenzo III, fu annessa al convento dei padri Gesuiti di Firenze.
Il santuario della Madonna dei Tre Fiumi fu edificato nel 1578 e restaurato nel 1705, presenta tre navate ed ha un loggiato esterno. Fu eretto in onore della Madonna e contiene un dipinto di Jacopo Chimenti (1554-1640) detto l’Empoli. Questo Santuario negli anni passati è stato meta di molti pellegrinaggi.
La chiesa di San Michele (Ronta) fu ricostruita sull’antica badia vallombrosana nel 1715-1721 da Cosimo III. La chiesa è dedicata a san Michele perché, come sostiene la tradizione, sul luogo dove essa si trova, c’era un tempio dedicato a Marte, al quale era contrapposto san Michele, santo-guerriero.
La chiesa di Santo Stefano a Grezzano all’interno conserva un tabernacolo in terracotta invetriata della bottega di Giovanni della Robbia.
La pieve di Santa Felicita a Faltona e posta lungo la strada che anche nel Medioevo collegava Firenze al Mugello, la pieve è nota fin dal 1016 con il toponimo Larciano.
Nell’elegante edificio accanto alla chiesa di Santa Maria a Olmi nel 1585 furono ospiti il granduca Francesco I de’ Medici e Bianca Cappello, la quale fu ritratta ad affresco da Alessandro Allori; nel 1871 il ritratto fu staccato e ceduto alla Galleria degli Uffizi di Firenze.
La chiesa di Santa Maria a Montefloscoli risale all’XI secolo – XII secolo ed è stata più volte manomessa. L’ultimo restauro ne ha riportato alla luce le strutture originarie, quali l’abside e il paramento murario a filaretto in pietra.
Sul territorio comunale insistono poi numerose e suggestive ville:
Villa la Topaia, che ha ospitato la scrittrice Sibilla Aleramo
Villa Martini Bernardi in località Rabatta
Villa Gerini in località Ronta
Villa di Striano in località Ronta
Villa Votanidi vicino alla località Sagginale
Villa Ripa a Borgo San Lorenzo
Villa di Figliano
personaggi storici
Tra i numerosi personaggi che emergono nel panorama borghigiano e che hanno contribuito, oltre che a fare crescere il paese stesso, a portare il suo nome in giro per il mondo ci sono:
Monsignor Giovanni Della Casa (Borgo San Lorenzo, 28 luglio 1503 – Roma, 14 novembre 1556)
Il Della Casa era di origine fiorentina e nacque nel 1503 in località “La Casa” a Borgo San Lorenzo nel Mugello da Pandolfo della Casa e da Lisabetta Tornabuoni. Studiò a Bologna, a Firenze, sotto la guida di letterati del tempo tra i quali Ubaldino Bandinelli e Ludovico Beccadelli, e a Padova. Consigliato da Alessandro Farnese, intorno al 1532 intraprese la carriera ecclesiastica a Roma, considerata come la carriera che garantiva il miglior stile di vita. Arrivò a diventare arcivescovo di Benevento nel 1544 e, nel medesimo anno, Paolo III lo nominò nunzio apostolico a Venezia. Il Della Casa, che era già conosciuto per la vita mondana, a Venezia trovò il palco ideale delle sue aspirazioni, con il suo palazzetto sul Canal Grande che divenne il luogo d’incontro della migliore nobiltà veneziana assieme ad artisti, poeti e letterati, e divenne lui padre di un figliuolo veneziano. In quest’ultima città redasse numerosi versi e trattati. Le prime opere importanti (tolte le poesie burlesche di gioventù) sono le due Orazioni in volgare dirette alla Repubblica di Venezia e a Carlo V. Sempre durante il suo soggiorno a Venezia, scrisse in latino ciceroniano il trattatello Quaestio lepidissima: an sit uxor ducenda, ove si interrogava sul valore del matrimonio. L’opera fu tradotta in italiano solo nel 1976, a cura di Luigi Silori, per i tipi di Guida Editore di Napoli. Giovanni Della Casa introdusse il tribunale dell’Inquisizione in Veneto e si occupò dei primi processi contro i riformisti. Nel 1548 compilò un Indice dei libri proibiti, finora mai tradotto. Già messo in cattiva luce per la protezione data al fuggiasco Lorenzino de’ Medici nel 1544, non ricevette mai la porpora cardinalizia e con la morte del suo protettore Alessandro Farnese e l’elezione di papa Giulio III cadde in disgrazia. Il Della Casa dovette ben presto lasciare Roma, dove era ritornato nel 1551 e si ritirò quindi a Nervesa, un paese del trevigiano, dove probabilmente scrisse il famoso libro Il Galateo ovvero de’ costumi, così chiamato perché dedicato a monsignor Galeazzo Florimonte, vescovo di Sessa che lo aveva ispirato. Il testo si richiama ai dettami rinascimentali e propone una serie di consigli e regole tali da consentire una vita armonica e semplice. Allo stesso periodo ed alla stessa dimora va assegnato anche il Carminum Liber, una raccolta di componenti di vario genere in latino utilizzando in modo ordinato l’elegia, l’esametro sia satirico che epistolare sulla scia di Orazio, l’epodo (sempre oraziano), poi un gruppo di grandi odi oraziane, una per la morte di Orazio Farnese, duca di Casto, durante l’assedio a Hesdin, un’altra in onore del patrizio fiorentino ed amico Pier Vettori, che curava l’edizione dei Latina Monimenta Ioannis Casae nel 1564 presso i Giunta a Firenze. Le sue liriche misero in evidenza il suo attivismo di ricercatore e curatore dello stile e di un linguaggio originale ed articolato. Fu poi richiamato a Roma come segretario di stato vaticano da Papa Paolo IV, succeduto a Giulio III. Senza aver ottenuto di diventare cardinale (forse a causa degli scritti licenziosi della gioventù), morì a Roma nel 1556. Edite postume alla morte dell’autore nel 1558, le Rime ebbero largo successo tra i letterati del tempo. Innovativa nelle Rime fu la tecnica del cosiddetto “legato dellacasiano”. Essa consiste nell’infrazione della struttura ritmica del sonetto: il verso è dilatato, ma allo stesso tempo franto dall’enjambement (per il Tasso si parli di “rompimenti” o “inarcature”), che lo inarca nel verso successivo. In questo modo il verso non si conclude alla fine dell’endecasillabo, ma a metà di quello successivo, acquistando così una maggiore estensione e una musicalità nuova. Questo metodo ebbe grande influenza sui lirici del Cinquecento, sul Tasso e più tardi sul Foscolo.
Francesco Ubertini detto il Bacchiacca (Borgo San Lorenzo, 1 marzo 1494 – Firenze, 5 ottobre 1557)
Figlio dell’orefice Ubertino Verdi, fu allievo del Perugino poi aiutante del Franciabigio, risentì anche di influssi di Andrea del Sarto, come anche di Michelangelo, Raffaello e Dürer. Eseguì una serie di quadretti di soggetto sacro e profano, mostrando una vivace fantasia nell’accostare figure e colori. Prese parte alla decorazione della Camera nuziale Borgherini verso il 1515-1520. Dopo aver passato poco tempo a Roma nel 1524, tornò a Firenze. Nel 1540 entrò al servizio di Cosimo I de’ Medici a decorare Palazzo della Signoria. Si distinse soprattutto come autore di cartoni per arazzi e per varie opere decorative per Cosimo. Fu fratello, di Antonio d’Ubertino Verdi, pure detto Bachiacca, che sia Vasari che Benedetto Varchi e Cellini ricordano come “ottimo ricamatore” al servizio di Cosimo I de’ Medici.
Antonio Cocchi (Benevento, 3 agosto 1695 – Firenze, 1 gennaio 1758)
Nato a Benevento dove i genitori, Giacinto Cocchi e Beatrice Bianco di Baselice, si erano momentaneamente trasferiti dal natio Mugello per motivi di lavoro, visse gran parte della propria vita a Borgo San Lorenzo, località di cui la famiglia era originaria e dove la stessa aveva numerosi possedimenti. Nel 1713 studiò a Pisa poi a Firenze presso i Padri Scolopi e successivamente si laureò in medicina, seguendo l’attività paterna, presso l’Università di Pisa. Nel 1736 fu nominato lettore di Anatomia nello Studio Fiorentino. In medicina si mosse sulla linea tracciata da Francesco Redi e da Giovanni Alfonso Borelli. Sostenne l’importanza dell’anatomia per gli studi medico-chirurgici. Studiò inoltre le acque termali dei Bagni di San Giuliano, sulle quali scrisse un importante trattato. Fu anche valente naturalista e, nel 1734, ricostituì la Società Botanica di Firenze con Pier Antonio Micheli. Il 12 marzo 1736 fu tra i personaggi che ebbero l’onore di trasportare le ossa di Galileo Galilei, nel nuovo sepolcro allestito nella Basilica di Santa Croce in Firenze. Per alcuni anni esercitò la professione medica sull’Isola d’Elba, quindi viaggiò molto in Europa, in particolare in Francia, nei Paesi Bassi e in Inghilterra, dove ebbe occasione di conoscere Isaac Newton, dedicandosi quindi allo studio della storia medica, traducendo anche trattati classici greci e latini. La sua attività di scrittore fu indirizzata allo studio di importanti opere letterarie, pubblicando trattati e saggi su opere di Voltaire e di John Milton ed alla traduzione di opere di Senofonte Efesio. Tradusse anche vari scritti greci che formarono la raccolta dei Graecorum chirurgici libri. Tra le sue altre opere si annoverano anche una Vita di Benvenuto Cellini ed il trattatello Del matrimonio. Fu membro dell’Accademia della Crusca ed uno dei primi membri italiani della Massoneria (fu iniziato come egli stesso scrisse nelle suo diario manoscritto Effemeridi, in una Loggia fiorentina il 4 agosto 1732 che teneva le sue riunioni nel palazzo di famiglia a Firenze).
Filippo Pananti (Ronta, 1776 – Ronta, 1837)
Rimasto orfano di padre in giovane età, fu aiutato dal medico illuminista Angelo Gatti, suo zio materno. Studiò nel seminario di Pistoia e alla facoltà di Legge dell’Università di Pisa dove si laureò. A causa delle sue idee liberali fu indotto a un volontario esilio, prima in Inghilterra e poi in Francia. Durante un viaggio per mare di ritorno in Italia, fu rapito dai pirati e ridotto in schiavitù ad Algeri. Liberato su interessamento del console britannico, ci ha lasciato una lucida relazione di questa insolita e difficile esperienza in “Avventure e osservazioni sopra le coste di Barberia” edito a Firenze nel 1817 da Leonardo Ciardetti e più volte ristampato nel corso dell’Ottocento, per le sue interessanti considerazioni sugli usi e costumi dell’Algeria berbera. Fu anche direttore del Teatro Italiano a Londra. La sua opera più nota è il Poeta di Teatro (1808), poema romanzesco a carattere autobiografico, i cui tratti umoristici si ispirano all’umorismo letterario inglese e in particolare a Laurence Sterne. Scrisse anche i poemetti La civetta (1799), Il paretaio (1801) e gli Epigrammi, oltre seicento, pubblicati postumi nel 1882. A Ronta si trova la villa Pananti Moretti che, in una lapide, ricorda il poeta.
Don Giotto Ulivi (Borgo San Lorenzo, 1820 – Campi Bisenzio, 9 febbraio 1892)
Originario di Borgo San Lorenzo, fu pievano di Santo Stefano a Campi dal 26 maggio 1878 alla scomparsa, avvenuta il 9 febbraio 1892. Personalità di grande cultura e di molteplici interessi, Ulivi fu soprattutto un appassionato studioso di apicultura, a cui diede un grande contributo con opere come il Compendio teorico pratico di Apicoltura razionale (1869 – Firenze, Tipografia Cenniniana); Le api italiche; Vita di Campagna; Considerazioni sulla fecondazione dell’ape Regina; Esame critico delle teorie sulla partenogenesi delle Api e La Manna, mielata e melatica: osservazioni. Fu inoltre fondatore e direttore della rivista “L’Apicultura razionale”, edita dal 1882 alla sua scomparsa.
Galileo Chini (Firenze, 2 dicembre 1873 – Firenze, 23 agosto 1956)
Galileo Chini fu un artista poliedrico, versatile, imprevedibile, sicuramente tra i pionieri del Liberty in Italia, della fine Ottocento inizi Novecento. Si dedicò con passione all’arte della ceramica, partecipando all’abbellimento di facciate in molti palazzi e ville italiane e arricchendo l’arredamento interno di vasellame e rivestimenti ricercati. Dipinse nature morte, bellissimi paesaggi della Versilia e ritratti. Cimentatosi nell’attività d’illustratore, realizza espressivi manifesti per eventi culturali, manifestazioni e rappresentazioni teatrali e per molte opere del tempo crea scenografie e costumi. Recandosi alla corte di re Rama V in Siam, come decoratore, comprese e acquisì le origini orientaleggianti dell’Art Nouveau. Un movimento anticonformista, che stravolse tutte le vecchie convenzioni. Le caratteristiche estetiche del nuovo stile furono accolte contemporaneamente in tutti i maggiori centri artistici europei, con nomi ed espressioni diverse secondo i caratteri della tradizione locale. L’Art nouveau in Francia fu interpretata proprio come arte nuova, rinnovatrice, in Italia si chiamerà “Floreale” o “Liberty”, interpretata alla lettera da Chini con libertà di espressione. Con i lavori in ceramica venne premiato alle esposizioni internazionali di Bruxelles, San Pietroburgo e St. Louis ma nel 1904 abbandonò la vecchia manifattura “Arte della ceramica” per divergenze con la direzione. Due anni dopo, insieme al cugino Chino fonda nel Mugello la “Fornaci di San Lorenzo” che realizzava ceramiche e vetrate ma anche arredamenti d’interni e progettazione di mobili in legno decorati da piastrelle, ceramiche e vetri. Galileo Chini ha volto barbuto e i capelli scompigliati più da intellettuale tormentato che da pittore, ma ha due occhi penetranti e uno sguardo sicuro che comunica una forte personalità artistica. Personalità che si apre sempre a novità, senza tener conto delle tendenze del tempo. Del resto lui stesso ritiene che non sia impossibile scindere l’uomo dall’artista, proponendosi sempre come una persona e non come un numero.
Giovacchino Forzano (Borgo San Lorenzo, 19 novembre 1883 – Roma, 28 ottobre 1970)
Direttore de Il giornale apuano, periodico politico liberale, con sede a Carrara per i tipi di Sangunetti tra il 1907 e il 1913; collaborò anche con «La Nazione». In gioventù studiò medicina, poi legge; si dedicò anche al canto e per un breve periodo si esibì come baritono nella provincia toscana. Successivamente iniziò a scrivere con crescente successo. Fu autore di libretti d’opera, drammi storici, commedie di ambiente borghese, celebrazioni nazionalistiche e soggetti cinematografici. Amico di Benito Mussolini, rilevò gli stabilimenti cinematografici della Tirrenia Film a Tirrenia fondando gli studi Pisorno, prima “città del cinema” in Italia.
Emilio Materassi (Borgo San Lorenzo, 1º novembre 1894 – Monza, 9 settembre 1928)
Nato a Borgo San Lorenzo nel 1894 inizialmente lavorò come garzone nella bottega del padre, venditore di cordami, poi cominciò a lavorare prima come meccanico ciclista, passando poi alle moto e alle rarissime automobili, dimostrando un talento straordinario. Successivamente, nel 1919 fu assunto come autista di autobus presso la SITA e si trasferì a Firenze dove conobbe i personaggi più popolari dello sport automobilistico fiorentino come il conte Gastone Brilli Peri, i conti Carlo Masetti e Giulio Masetti, Ferruccio Zaniratti oltre ai fratelli Ernesto e Alfieri Maserati che, dalla vicina Bologna, frequentavano l’ambiente fiorentino. Con il loro aiuto e grazie alla sua abilità di meccanico esordì nelle corse alla Coppa della Consuma nel 1919, con una Isotta Fraschini, probabilmente prestatagli da Alfieri Maserati che di quella marca era concessionario e che già allora, nella sua officina, modificava le lussuose auto per le gare. Emilio Materassi ottenne un buon risultato: 3º nella classe fino a 5000cc, seppure “fosse attardato dalla rottura di una gomma a Diacceto”. Materassi continuò a gareggiare con auto prestate di volta in volta da l’uno o l’altro amico, cogliendo il primo successo, seppure nella sua classe da 3500 a 4500cc alla Coppa della Consuma del 1920 con una Fiat 20-30HP. La svolta arrivò nel 1921 quando fu ingaggiato dalla casa torinese Itala di cui divenne anche concessionario per Firenze. Deluso dalle scarse prestazioni delle automobili ufficiali dovute alla scarsa potenza dei propulsori, decise di modificare una Itala “55” installandovi un motore d’aereo Hispano-Suiza acquistato dalla stessa Itala che lo aveva prodotto su licenza durante la Grande Guerra. L’auto per le sue generose dimensioni venne da lui stesso ribattezzata Italona, e portata in gara per la prima volta alla Parma-Poggio di Berceto del 1924 dimostrandosi subito competitiva con il secondo posto assoluto alle spalle dell’Alfa Romeo di Antonio Ascari. Nel 1927 gli venne offerta da Meo Costantini la possibilità di far parte del team ufficiale della Bugatti, con cui vinse il Gran Premio di Tripoli e la Targa Florio. Utilizzò ancora la sua vecchia monoposto per prendere parte alla Coppa Perugina e al Real Premio di Roma, ma dopo un incidente in cui persero la vita alcuni addetti del servizio di sicurezza la sua Itala venne sequestrata e corse solamente per la squadra italofrancese. Entro la fine dell’anno vinse anche sul Circuito del Savio e al Circuito di Montenero, laureandosi campione italiano. Nel 1928 decise di formare una propria scuderia acquistando quattro Talbot. Nonostante fossero vetture molto potenti, soffrivano di gravi carenze telaistiche. Grazie a un paziente lavoro di messa a punto Materassi riuscì a limarne i limiti e ad ottenere durante il campionato alcuni successi, ma il 9 settembre 1928 al Circuito di Monza, al 17º giro del Gran Premio, tentando il sorpasso di Giulio Foresti, la sua Talbot Darracq 700 sbandò senza apparenti motivazioni verso sinistra; con una vettura ormai priva di controllo urtò un muretto laterale e piombò sugli spettatori alla velocità di circa 200 km/h. In quell’incidente, uno dei più gravi della storia dell’automobilismo, morirono 22 spettatori e si ebbero più di 40 feriti. Emilio Materassi, sbalzato in aria durante l’incidente, atterrò tra la folla, fece alcuni passi e nello stesso tempo parlò con il pubblico, ma dopo pochi istanti, si accasciò al suolo. All’arrivo dei soccorsi Materassi era già morto, stroncato da un’emorragia interna conseguente ad un colpo ricevuto alla tempia.
Domenico Bartolucci (Borgo San Lorenzo, 7 maggio 1917 – Roma, 11 novembre 2013)
Considerato tra i più autorevoli interpreti di Giovanni Pierluigi da Palestrina, ha compiuto, con il coro della Cappella Sistina, numerose esibizioni in tutto il mondo; ha anche diretto numerosi concerti con il Coro dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia (è da ricordare la tournée nell’ex Unione Sovietica). Nato in una famiglia operaia (il padre lavorava in una fornace) entrò giovanissimo nel seminario maggiore di Firenze. Le sue doti canore e musicali furono subito apprezzate e incoraggiate. Iniziò a comporre le prime messe, i primi mottetti, le musiche organistiche, i madrigali e la musica da camera. Nel 1939 ricevette gli ordini sacri e si diplomò in composizione. Alla morte del maestro Bagnoli gli succedette come direttore della Cappella della Cattedrale di Santa Maria del Fiore. Alla fine del 1942 si recò a Roma per approfondire la conoscenza della musica sacra. Dopo aver ricoperto il ruolo di vice maestro di San Giovanni in Laterano, nel 1947 divenne maestro della Cappella Musicale Liberiana di Santa Maria Maggiore come successore di Licinio Refice. Nel 1952, su indicazione di Lorenzo Perosi, maestro della Cappella Musicale Pontificia “Sistina” dal 1898, fu nominato maestro sostituto. Alla morte di Perosi, avvenuta nel 1956, Pio XII gli conferì l’incarico di direttore perpetuo della Cappella Sistina. Il complesso della Cappella Musicale Sistina, alla morte di Perosi versava in precarie condizioni. Avviò un’opera di risanamento, sostenuto anche da papa Giovanni XXIII. Nei 40 anni della sua direzione le esecuzioni durante le liturgie papali si alternarono a tournée in vari paesi. Negli anni del Concilio Vaticano II (1962-1965), contrario all’abbandono del latino, si impegnò affinché la riforma liturgica non prendesse un indirizzo ostile nei confronti della musica sacra. I suoi riferimenti in campo musicale furono la tradizione polifonica palestriniana e il canto gregoriano. Bartolucci si è dedicato sia all’insegnamento che alla composizione. Il corpus di opere già pubblicate supera i quaranta volumi e comprende Mottetti, Madrigali, Messe, Laudi, Inni, musiche sinfoniche, organistiche e da camera, e soprattutto una serie di oratori per soli, coro e orchestra. È da menzionare anche il Brunellesco, un’opera lirica in tre atti mai eseguita con l’autore in vita. La concezione della musica per Bartolucci si fonda sul “dire” con naturalezza e spontaneità, rifuggendo astrattezze e astruserie. I suoi punti di riferimento sono il canto gregoriano, Giovanni Pierluigi da Palestrina e Giuseppe Verdi. Caratteristica di tutta la concezione estetica del compositore è quella di un ossequio alla tradizione, alla cui base colloca «una notevole severità di canto e quella limpida e solida polifonicità» indicate nella prefazione del suo Primo Libro dei Mottetti. Continuò a celebrare la messa tridentina anche dopo la riforma. Nel 1997 fu sostituito – contravvenendo quindi la nomina papale a perpetuità – alla guida della Cappella Musicale Sistina da mons. Giuseppe Liberto, evento che destò alcune controversie nel contesto della musica liturgica: verosimilmente si volle optare per un’innovazione dello stile che più si confacesse alle celebrazioni di massa care a Giovanni Paolo II, e della cui regia era responsabile mons. Piero Marini, maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie, a detta di molti tra i responsabili del suo accantonamento. Tra coloro che più avversarono la decisione fu il cardinale Joseph Ratzinger, il quale, divenuto papa, il 24 giugno 2006 lo richiamò a dirigere un concerto nella Cappella Sistina. Nel concistoro del 20 novembre 2010 papa Benedetto XVI lo elevò alla dignità cardinalizia all’età di 93 anni, 6 mesi e 13 giorni. Si trattava del cardinale nominato più anziano di sempre nella storia della Chiesa Cattolica. Gli fu assegnata la diaconia dei Santissimi Nomi di Gesù e Maria in via Lata.
cultura
MUSEI
Villa Pecori Giraldi
Sorta sul luogo di un’antica costruzione dei Giraldi, nel 1748 divenne di proprietà del Conte Pecori che aggiunse al proprio nome quello degli antichi proprietari. Nel 1979 la famiglia Pecori Giraldi donò la costruzione al comune di Borgo San Lorenzo. La facciata è di gusto rinascimentale mentre le decorazioni che troviamo al suo interno e il Museo della Manifattura Chini, qui ospitato, sono testimonianza vivace dello stile Liberty apportato nel Mugello dalla famiglia. Le sale sono affrescate dai componenti della famiglia Chini, da Pietro Alessio a Galileo, con motivi geometrici e floreali e pitture di imitazione medievale. Significativo è il ciclo decorativo con la rappresentazione di San Giorgio del salone di rappresentanza. Di grande impatto è l’esposizione di pezzi ceramici, di oggetti e vasi in grès e di rare vetrate policrome.
Museo della Manifattura Chini
Nel Mugello due secoli fa nasceva la Manifattura Chini, grande esempio di artigianato artistico nella produzione di ceramiche. Ai primi dell’800 il capostipite della famiglia Piero Alessio Chini, di professione decoratore, tramandava la passione per l’arte ai figli e ai nipoti, che da apprendisti si trasformarono in eclettici e creativi artisti. Una delle figure di maggior rilievo nella famiglia fu sicuramente Galileo Chini che, insieme al cugino Chino, fondò nel 1906 la manifattura “Fornaci San Lorenzo” a Borgo San Lorenzo, producendo ceramiche e vetrate di immediato grande successo. All’inizio del ‘900 Galileo Chini divenne tra i massimi esponenti del Liberty italiano e nel 1906 la sua fama di artista raggiunse anche l’Oriente tanto che fu chiamato a Bangkok per affrescare il Palazzo del Trono. Successivamente la manifattura rivestì in grès ceramico lo stabilimento termale di Salsomaggiore “Lorenzo Berzieri” e Galileo Chini ne affrescò una parte, collaborando con altri artisti dell’epoca. Dal 1925 la manifattura Chini riprese la partecipazione alle varie esposizioni nazionali ed internazionali nelle quali ebbe risalto e successo il lavoro presentato da Galileo, oramai artista indiscusso sia come decoratore, sia come artefice di preziose tecniche di lavorazione. Le Fornaci continuarono la loro attività fino al 1943, quando, a seguito di un terribile bombardamento su Borgo San Lorenzo che causò anche molte vittime, subì così tanti danni che non riuscì più a riprendere una regolare attività. Oggi possiamo ammirare ciò che i discendenti di Piero Alessio hanno creato e che le vicende nello scorrere del tempo hanno risparmiato nel Museo della Manifattura Chini a Borgo San Lorenzo e nei decori degli edifici sparsi per l’Italia e nel mondo.
VILLA PECORI GIRALDI – MUSEO DELLA MANIFATTURA CHINI
Piazza Lavacchini, 1 – Borgo San Lorenzo
Informazioni e prenotazioni:
tel. 055 8456230 – 055 8457197
info@villapecori.it villapecorigiraldi@gmail.com
www.villapecori.it www.museochini.it www.itinerarioliberty.it
ORARIO: da Novembre a Marzo: sabato e domenica 10-13 / 15-19 e da Aprile a Ottobre: da giovedì a domenica 9-13 / 15-19
CHINI LAB (Info: tel. 055 8456230 – 328 0668232): Sabato e Domenica 10-12,30 / 15-18,30 (le attività del Chini Lab sono sospese da fine luglio, fino a settembre)
Chiuso: 1° gennaio, domenica di Pasqua, 1° Maggio, 15 Agosto, 25 e 26 Dicembre. Aperto a Pasquetta.
Su prenotazione visite guidate al Museo e all’Itinerario Liberty nel centro storico del paese e laboratori didattici per bambini e adulti
Museo della Civiltà Contadina di Casa d’Erci
Museo di Casa d’Erci si raggiunge percorrendo la viabilità per Luco e Grezzano, con provenienza da Borgo San Lorenzo o Scarperia. Una apposita segnaletica indica la strada per raggiungere la Casa che si trova, isolata, sulle montagne a nord di Grezzano. Da Grezzano al museo vi sono circa 1600 m di strada molto stretta, non percorribile da grossi automezzi. Il museo è allestito in una ex casa colonica situata in riva al torrente Erci nel complesso agricolo-forestale regionale Giogo-Casaglia. Il luogo si caratterizza per i suoi pregi ambientali e naturalistici. Vi è sistemata una consistente e caratteristica raccolta di materiale documentario sul vecchio mondo contadino e rurale del Mugello. I materiali sono pertinenti ad attività che vanno da quelle propriamente poderali, come l’allevamento del bestiame, le lavorazioni del terreno e le coltivazioni, i raccolti, la trebbiatura a quelle svolte nella cantina, nel granaio, nel frantoio.
Particolare interesse è rivolto ai lavori in ambiente domestico quali la filatura, la tessitura e il bucato, ai lavori artigianali fatti dai contadini e ai vari mestieri come quello di falegname, carratore, bottaio, calzolaio, fabbro, muratore. Ricostruzioni d’ambiente come la camera da letto, la cantina, la cucina, insieme alle sezioni dedicate al lavoro boschivo, alla religiosità popolare, ai carri e altri mezzi di trasporto, alle lavorazioni del legname, ai documenti scolastici, mezzadrili e fotografici, completano il quadro espositivo realizzato con intenti anche evocativi ma, soprattutto, di ampia e puntuale documentazione.
Mulino Faini
La visita di Casa d’Erci si completa con quella al Mulino Faini di Grezzano che, risalente al 1400, fu acquistato dalla famiglia Faini nel 1780, che tuttora ne è proprietaria e lo gestisce. E’ possibile la visita agli ambienti di lavoro, arricchiti da una collezione di strumenti attinenti l’attività molitoria, per conoscere le fasi e le vecchie tecniche di produzione della farina, apprendere l’evoluzione delle modalità produttive e la loro importanza attuale e nel passato.
Il Sentiero Naturalistico-Storico
È un percorso che si snoda per circa 1.500 metri nei dintorni della casa e costituisce un originale complemento al Museo. Con le sue 120 piante opportunamente cartellate e la ricostruzione di ambiente agricolo e boschivo, il sentiero offre al visitatore la possibilità di conoscere la vegetazione tipica della zona e vari elementi del paesaggio agricolo-forestale, nella loro evoluzione storica dell’ultimo secolo.
Una guida fornisce le informazioni essenziali in merito alle trasformazioni culturali e paesaggistiche, alle utilizzazioni delle singole specie vegetali ed alla storia del podere e della Casa. Il museo dispone di una biblioteca specializzata e di un consistente archivio di documenti scritti e fotografici, oltre che di varie pubblicazioni curate dal gruppo d’Erci. Un’area attrezzata con tavoli, fornello, acqua potabile è situata in riva al torrente poco oltre la casa.
MUSEO DELLA CIVILTÀ CONTADINA DI CASA D’ERCI
Loc. Grezzano – Borgo San Lorenzo
Info: tel. 055 8492519 – 338 6880647
info@casaderci.it www.casaderci.it
ORARIO: da 30 Aprile a 26 Ottobre: sabato, domenica e festivi: 15 – 19; da 27 Ottobre a 29 Aprile: domenica e festivi: 14.30 – 18.
MULINO FAINI
Loc. Grezzano – Borgo San Lorenzo
Info: tel. 331 2111598 – 055 8492580
Tutte le domeniche alle ore 15,30 visita al mulino risalente al ‘400 con la macina in funzione e modelli interattivi della vita del mulino.
ORARIO: da 30 Aprile a 26 Ottobre: domenica e festivi 15.30 – 19.30; da 27 Ottobre a 29 Aprile: domenica e festivi 14.30 – 19.
Su prenotazione visite guidate e laboratori didattici per bambini e adulti.
Cinema e Teatri
Cinema Teatro Giotto
Corso Matteotti, 151 – Telefono: 0558459658
La sua redazione originale, ispirata al modello fiorentino del Teatro Niccolini, risale al 1872 quando venne inaugurato con l’Ernani di Giuseppe Verdi. Nato come luogo deputato alla lirica e alla prosa, dai primi decenni del ‘900 si è aperto anche all’attività di cinematografo, poi divenuta quella prevalente. Fra gli anni sessanta e settanta il teatro ha subito consistenti interventi di ristrutturazione interna (rifacimento completo del tetto secondo le normative antisismiche) nel corso dei quali ha perso la sua originaria decorazione liberty.
Cinema Teatro Don Bosco
Corso Matteotti, 184 – Telefono: 0558495018
Già nel 1936 all’interno dell’istituto dei salesiani fu aperto un piccolo teatro a pianta rettangolare con galleria capace di circa 200 posti. Nel 1942, su progetto dell’ingegner Giovanni Vai, la sala fu adeguata per ospitare proiezioni cinematografiche mediante la realizzazione della cabina di proiezione e l’eliminazione delle ultime file di poltroncine nella platea. Dopo aver assunto varie denominazioni, fra cui anche quella di Teatro Don Orione, il teatro, anche dopo i lavori di restauro terminati all’inizio degli anni novanta, ha mantenuto un’intensa attività soprattutto nel campo degli spettacoli cinematografici.
prodotti tipici
Da sempre fattoria di Firenze, il Mugello e dunque Borgo San Lorenzo suo capoluogo, produce latte, carne, olio, vino, miele, cereali, patate senza dimenticare il marrone del Mugello IGP. Ed ovviamente la gastronomia locale utilizza i prodotti del territorio realizzando piatti semplici ma gustosi. Tra i prodotti che in particolare si possono evidenziare, il latte e tra i formaggi il caprino, il pecorino, il Raviggiolo e la ricotta; la carne per altro macellata proprio nel Centro Carni alle porte di Borgo San Lorenzo, anche quella suina di cinta toscana con la quale vengono prodotti particolari affettati. E poi il farro biologico, il marrone del Mugello IG, il miele, l’olio extravergine d’oliva, il pane del Mugello prodotto da alcuni forni locali secondo un preciso disciplinare, la patata, il tartufo bianco, i vini del Mugello (negli ultimi anni in particolare con lo sviluppo del pinot, la birra artigianale di alcuni birrifici, lo zafferano.
piatti tradizionali
Tutto questo ha dato origine ad una cucina ricca, che raccoglie la cultura gastronomica romagnola con quella toscana, mescolando i prodotti del fondovalle con quelli della montagna e la cacciagione dei boschi. Prodotti dunque evidenziati da una cucina povera e semplice che ne esalta le grandi potenzialità. Negli antipasti si va da quelli tipici toscani o ai crostoni di cavolo nero; fra i primi i tortelli di patate, vera eccellenza del territorio, dei quali ogni frazione produce una propria variante, ma anche pappa col pomodoro, ravioli con le erbe, ribollita o la polenta condita con vari sughi, tipico quello di porri; fra i secondi bistecca fiorentina, coniglio ripieno, spezzatino di cinghiale in umido, ma anche la tipica lonza; fra i dolci, che variano a seconda della stagione o con l’avvicinarsi delle feste, spicca la torta in balconata, di antica tradizione, mentre per la festa del patrono son tradizionali le pesche, meglio se locali, col vino.
ambiente
I boschi, i fiumi, la campagna del Mugello invitano a trascorrere una vacanza all’aperto, riscoprendo l’armonia del rapporto uomo-natura. Numerose sono le specie sia di flora che di fauna, che si possono ammirare. Frequenti sono gli avvistamenti di daini, caprioli, cinghiali e mufloni; è ricomparso da tempo il lupo, e persino l’aquila è tornata a volteggiare nell’area demaniale protetta di Giogo-Casaglia. Il modo migliore per accorciare le distanze con la natura è esplorare a piedi, in mountain bike o a cavallo i tanti sentieri e strade bianche della campagna mugellana.
ITINERARI A PIEDI
Nel Mugello è possibile camminare per giorni percorrendo stradelle, sentieri, mulattiere tra ambienti ancora incontaminati. L’Appennino mugellano non promette le altezze delle Alpi, ma paesaggi silenziosi e affascinanti: le faggete ad alto fusto vicine ai crinali, i secolari castagneti da frutto, gli inattesi e freschissimi ruscelli, i prati in cui spesso pascolano caprioli e daini, i vecchi seccatoi, gli antichi eremi posti in cima a valli lontane. Tante sono le proposte per gli appassionati di escursionismo: più di trenta sono gli itinerari del sistema escursionistico SO.F.T. (Sorgenti di Firenze Trekking) che ricalca in parte la famosa G.E.A. (Grande Escursione Appenninica), ben attrezzata con rifugi e posti tappa, moltissimi sono i sentieri della R.E.T. (Rete Escursionistica Toscana), consigliata è la frequentazione dei percorsi del Parco Culturale del Monte Giovi e del Parco demaniale Giogo-Casaglia (http://www.mugellotoscana.it/it/giogo-casaglia)
NON SOLO A PIEDI
Le passeggiate e il trekking non sono certo le sole attività escursionistiche nella campagna mugellana: equiturismo, cicloturismo, mountain bike ed escursioni fuoristrada in quad, ma anche volo a vela, volo da diporto e volo sportivo sono tutti praticabili grazie ad associazioni ed operatori privati che quasi sempre offrono anche lezioni.
itinerari in mountain bike (http://www.m.mugellotoscana.it/it/itinerari-in-mountain-bike)
rifugi e punti tappa (http://www.m.mugellotoscana.it/it/itinerari-a-piedi/rifugi)
LE ATTIVITA’ SPORTIVE:
Piscine e impianti sportivi
Centro Piscine del Mugello
Via Pietro Caiani, 28
tel. 055 8458290 fax 055 8458307
L’impianto è dotato di due piscine (una interna e una esterna) e di due vasche per bambini (quella esterna è animata). Piccola piscina profonda 6 m per tuffi, ampio parco con giochi per bambini. Ristorante e bar per pranzi e cene.
Apertura: tutto l’anno.
Piscina c/o Hotel Marrani
Via Faentina, 128 – Ronta
tel. 055 8403005 fax 055 8403370
www.hotelmarrani.it
Apertura: solo periodo estivo.
PISTE ECOTURISTICHE
Da qualche anno è disponibile una Pista ecoturistica, che è servita a valorizzare un polmone verde notevole ed a riscoprire alcune zone lungo la Sieve (da Borgo S.Lorenzo a Ponte a Vicchio) di 9 Km circa e da Borgo San Lorenzo a Larciano (direzione San Piero a Sieve) di 3 km circa (http://www.mugellotoscana.it/it/la-pista-ecoturistica-lungo-il-fiume-sieve)